venerdì 28 settembre 2012

- Goodnight ladies, good night, good night -


Caro Guy,
sai è impossibile dire quante volte io abbia aspettato il tuo ritorno.
Giacevo sul letto, tra la coltre del dormiveglia,
in un mare di petali e lenzuola nere,
aspettando anche solo l'eco dei tuoi passi.
Mi ripetevo che quella volta alla stazione non sarebbe stata l'ultima.
Dicevo che guardare nei tuoi occhi castani sarebbe stata per me sempre fonte di calore.
Dicevo che avrei sempre bramato le tue mani a cingermi i fianchi, soffocandomi il respiro con i tuoi baci indecisi e facendomi tremare ad ogni parola sussurrata nell'orecchio.
Dicevo che l'autunno non sarebbe stata per noi una stagione, 
perché avremmo sempre camminato sopra le foglie marcite, come sulla via dorata per Oz.
Dicevo che saremmo riusciti a catturare la brezza mattutina
e a bere la rugiada come ambrosia fatale.
Per quante volte io abbia stretto le mani al petto, inginocchiandomi all'invisibile,
non ti ho visto più arrivare.
Le ho fatte sanguinare, quelle mani, come mi sembrava di piangerlo, il sangue.

Non ho mai fatto scorrere lacrime più pesanti e corpose, un nettare delizioso per il demone dell'amarezza e della mancanza.
Le ho raccolte tutte in un piccolo scrigno, volendotele donare una volta che ti avessi rivisto.
Le avrei usate come ricatto, un effetto della tua noncuranza sulla mia anima.

E' come se stessi seduta vicino a un fuoco, ma senza riscaldarmi. 
Le fiamme potrebbero benissimo essere di ghiaccio, tanto da sentire i tendini irrigidirsi per questa forzata immobilità a cui sono costretta.
La tua immagine mi lega al nulla, alla completa inerzia.
Perché quando c'eri tu, tutto sembrava avere un suo giro e un suo moto, contrario a quello del mondo e bellissimo come un astro appena nato.


Caro Guy,
spero che giunga una nuova primavera, 
così il mio corpo riuscirà a donare amore ancora a qualcosa.
All'aria, alla terra, diventando madre anche io, di nuovi esseri viventi.

lunedì 24 settembre 2012

- Ipofisi -


Non so più se camminare per questa strada.
Probabilmente sarebbe meglio strisciare, 
rendere piedi la mia lingua,
abbandonando unghie e denti
in qualche solco del terreno.
Il vento sussurra di seguire l'ovest,
verso l'Oceano e i suoi misteri.
Ma io non so come scappare
da questa terra arida:
le gambe mi tremano e le mani sono consumate,
per l'aver stretto troppo
quando sarebbe stato meglio lasciare andare.
E' come se fossi in una chiesa senza tetto,
scoperta alla paura dell'eterno,
mangiata dai santi e dal cielo.
Vorrei coprirmi il viso con un velo 
per poter nascondere i solchi del dolore;
ma finirei per stringere troppo
fino a non sentire più il mio cuore.

- Non svegliarmi più -


Un altro giorno
mi pungo il dito con un ago
un patto purpureo da suggellare
antico come gli oceani bui,
l'eternità in una fiamma blu
e i tuoi occhi piani instabili.

Un altro giorno
di completo nulla
una parola fatta di lacrime
un gong tibetano che distrugge
e segna la fine
degli echi nella mia gola.

Un altro giorno
sento la tua mano sul mio seno
come un bambino affamato
se chiudi gli occhi puoi vedermi
danzare a piedi nudi
su cocci di vetro e smarrimento. 

mercoledì 19 settembre 2012

- Limnìade -



Hai mai posato le tue iridi orientali
sulla trasparenza dell'acqua?
E' come guardare in uno specchio ancestrale.
Vedi vite finire e iniziare
e, sopra, la tua immagine fantasma
che si mescola con le onde.
Gli antichi marinai dicevano
che il mare non era altro che
un altro cielo;
immergendovi il tuo viso diventavi come un dio greco,
leggero come un gabbiano e 
di stelle coronato.
Ho trasformato il mio corpo in un lago,
in un ninfeo canto,
perché tu ti ci possa avvolgere,
come in un manto.
Ho inciso i miei nei
su una rosa dei venti,
perché tu possa, una volta unitili, 
salpare.
Lì, dove i sogni diventano carne,
senza mai annegare.

martedì 18 settembre 2012

- Il fuoco purifica e l'acqua risana -



Si sa che quando il terreno è marcio
Infinite volte si prova a seminare
E puntualmente, quando il dado è ormai tratto,
Ti senti parte del vuoto interstellare, con l'
Emaciato tuo viso tra le mani, mai così disfatto.

Devi sapere che la gente è strana
E sempre pronta a tirarti in basso,
Lì dove la luce non arriva,
Lì, in quell'anfratto dove striscia
E lecca avida il minerario suolo, come un crotalo viscido e solo.

Troppe maschere che seguono il vento

Esistono per farci stare a stretti pugni.
Se solo si capisse che il nostro vuoto è dentro, lì
Tra il diaframma e lo sterno, dove maturano i fumi dell'
Esanime speranza di riconoscerci negli altri.


Diamo un bacio all'amaro nemico e 
Imprimiamo la nostra ombra nei volti appassiti degli spiriti dimenticati.

Che le correnti ci ridiano la vita
A costo di servire il nostro cuore su un piatto di
Zenzero e sale, riconoscendoci
Zimbelli e giullari, anche se ormai anziani, come
Omero che fu Il Poeta, anche se sempre nascoste furono le sue mani.

ANSIA - Nerorgasmo




Chiuso nella mente non trovi più nulla da fare
Nulla al di fuori di te
Credi di sapere tutto non hai nulla da imparare
Ma giudichi dall'alto sentenzi dal tuo sapere

Ma senti il vuoto nella pancia
La tua esistenza è solo ansia
E non ti basta ingurgitare
Per darti un senso di pienezza
E non ti basta più drogarti
E non ti basta più scopare

Tutti ti gridano che per essere bello
Devi essere maturo devi essere duro
Devi difendere le tue posizioni
Anche se sai che son false lo sai sono false

Ma senti il vuoto nella pancia
La tua esistenza è solo ansia
E non ti bastano i riscontri
Per credere di essere vero
Hai schifo di te stesso sempre
Lo sai che cosa sei davvero

Se non decidi di morire ogni giorno
Per rinascere nuovo per rinascere nuovo
Se non capisci che ogni cosa ti insegna
A rinascere nuovo a rinascere nuovo

Ti senti il vuoto nella pancia
La tua esistenza è solo ansia
E non ti basta ciò che compri
Lo sai che dentro manchi tu
Hai schifo di te stesso sempre
Vorresti non vederti più

domenica 9 settembre 2012

- SETTEMBRE -


C'era un tempo in cui mi sembrava tutto diverso. Non c'era giorno in cui non andassi al lago, al tramonto. 
La bellezza di quel paesaggio, come uno scorcio di eden, malinconico e confortante al contempo.
Quando poi arrivava il crepuscolo era come un mantello, soffice e caldo, e subito si accendevano le gemme del cielo, mentre lontano potevo ancora vedere il rosso porpora del sole.
Mi ricordo di un giorno in particolare. Con mio fratello passeggiavamo, silenziosi, al porto delle barche. 
Era un pomeriggio d'inverno, e il vento ci tagliava le gote come una lama.
I gabbiani volavano a cerchi. Ci fermammo sulle rocce in fondo, ad osservare l'isola di lontano.
Le onde ci accompagnavano nella visione, con il loro dolce infrangersi sui fondi delle barche. 
Mio fratello era bello come un dio, con quei suoi riccioli biondi e gli occhi celesti come l'acqua. 
Un naso prepotentemente all'insù anticipava una bocca carnosa contorniata da un accenno di barba rossiccia.
Aveva le mani rosse dal freddo e anche sfregandosele continuamente non riusciva a scaldarsi.
Gli detti un pizzicotto sulla guancia, dicendogli di non fare la femmina, ridendo come una bambina.
Lui rise e poi mi guardò.
Fisso. In quei suoi occhi potevi perderti, come in un immenso oceano.
Fui un attimo interdetta da quello sguardo allo stesso tempo pieno d'amore e di un'infinita tristezza.
" Stefano, che succede ? "
" Niente. Penso che me ne andrò presto. "
" Dove vuoi andare ? "
" Non lo so ancora. Però tu pensami sempre con te. "  
Mi dette un bacio. Mi strinse forte a sè. 
Sentii il suo profumo: sandalo; forte e avvolgente come lo era lui. Un spirito sempre irrequieto. 
Il sole scese all'orizzonte e noi ce ne tornammo a casa, dalla mamma e il babbo.

Una mattina di circa un mese dopo, mi svegliai presto, come mi era solito per andare al lavoro.
Come ogni giorno andai alla camera di Stefano per svegliarlo. Certe volte era proprio un pelandrone.
Il letto era ancora fatto e il suo cappotto non c'era.
Andai in cucina da mamma, dicendole che Stefano non era tornato per la notte.
" Avrà fatto serata con Orlando e gli altri, probabilmente. Tornerà per pranzo con una fame da lupo e il babbo gli farà la solita ramanzina. " 
Andai al lavoro. Tornai per le 1.
Facemmo il pranzo. Stefano non si era ancora fatto vedere.
" Io a quello screanzato gliela fò vede io quando torna! "
" Babbo dai, stai calmo. Presto chiamerà e si scuserà. "

Si fecero le 5.
La mamma chiamò a casa di tutti gli amici di Stefano, ma nessuno l'aveva visto da almeno due giorni.
Iniziammo a preoccuparci seriamente. Il babbo chiamò i carabinieri. 
Alla mamma già stava mancando il respiro. La sentivo stringersi le mani al petto e sussurrare preghiere alla Madonna. L'abbracciavo dicendole che sarebbe andato tutto bene, mentre guardavo in alto, verso la foto di nonna Artemisia, sperando ci proteggesse. 
In quel momento mi tornavano in mente gli occhi di mio fratello in quel pomeriggio strano. 
Sembravano un mare in burrasca, potevi vederci l'universo in tumulto, eppure vi era racchiusa tutta la dolcezza di questo mondo.

Due ore dopo suonarono alla porta. 
Era un carabiniere. Il suo nome era Michele. Era alto e grosso, avrebbe dato sicurezza a qualsiasi donna. Pensai che si sarebbe sposato presto, seppur così giovane. 
Ci disse che dopo un'incessante ricerca, avevano trovato mio fratello. 
Mia madre si sentii mancare e io dovetti sorreggerla con tutte le mie forze, mentre le lacrime mi rigavano il viso. 
Il babbo si mise le mani tra i capelli e si nascose in bagno, per non farsi veder piangere.
Andai con il carabiniere per il riconoscimento.
Arrivai al molo. Vedevo già da lontano il lenzuolo bianco steso sulla sabbia, bagnato dalle onde.
Per un attimo pensai di non farcela. I miei piedi pesavano come macigni e sentivo il mio cuore spezzarsi come un cristallo, rilasciando un pungolo di dolore che mi arrivava fino all'intestino.
Stefano era steso a pancia sotto, con braccia e gambe aperte.
Si era riempito le tasche del cappotto di sassi e si era lasciato morire così, tra le onde del nostro lago.
Nella tasca dei pantaloni gli avevano trovato il mio vangelo.
Lo avevo rimproverato tante volte del fatto che me lo prendesse senza dirmelo.
La copertina ritraeva un sole al tramonto, circondato da un cielo cupo.
Mi ricordo di come la sua mano giacesse lì, inerme e bluastra.
La sua bocca carnosa era semiaperta, quasi cercasse ancora di assaggiare l'ultimo filo d'aria.
I suoi occhi blu, così vivi pochi giorni prima, ora erano vuoti e fissi.
Ma il loro blu era ancora così intenso che sembrava mi guardasse ancora.

Lo seppellimmo vicino nonna Artemisia. La nonna che lo aveva fatto nascere e lo aveva cresciuto, mentre mamma andava al lavoro e io andavo a scuola.
Il babbo non parlò più per un mese. Si racchiuse nel suo silenzio perché non sapeva elaborare il dolore.
La mamma era sempre in chiesa, cercando un conforto in quelle mura fredde e inanimate.

Sono tornata al cimitero oggi, come faccio ogni domenica di ogni settimana.
Trovo sempre una rosa, sulla tomba di Stefano.
L'unica cosa viva in quel posto addormentato.
Ma non ho mai saputo chi la portasse.