venerdì 30 novembre 2012

- Ho gli organi vuoti -




Non avrei potuto scrivere niente in quel momento riguardo ai morti.
Perché in quel momento ero una non-più io stessa.
Giacevo nel nulla.
Incapace.
Con addosso solo i miei pianti e il mio muco e i miei fallimenti.

Ma Hey Jane dei Motorpsycho copriva i singhiozzi.

giovedì 29 novembre 2012

- Gravedigger -



Ma io cosa sono?

Un essere disgregato,
che assaggia per caso
il tuo dolce spettro.

Un essere reietto,
che ti chiese il tuo sangue
sotto la coltre del plumbeo cielo,
per portarlo al collo,
in un'ampolla di cristallo.

Un essere disperso
nella corrente 
degli antichi oceani,
che si nutre di sale
per sentire lo sfrigolio della carne
fino alle ossa.

Un essere senza nome,
amore mio,
perché aspetta che le stelle 
glielo dicano,
per non sentirsi più perso.

Un essere malato,
amore mio,
tortura pura
che ama i morti
più dei vivi. 

sabato 24 novembre 2012

- Trapasso -



" ho i ricordi chiusi in te.
la tristezza dentro me. "

c'è un corpo nell'acqua
gli occhi piccole fessure di cielo
quanti passi avrà compiuto
prima di giungere alla sua fine?
potrei leggere nelle sue rughe
le ferite subite e inferte
pagine di una storia
che mi abbracciano
come una madre
una casa costruita 
su eventi
che ritornano
eterni
perché dove c'è la mancanza
c'è la mia dimora.


lunedì 19 novembre 2012

Quando ti Bacio - Erich Fried

Quando ti bacio
non è solo la tua bocca
non è solo il tuo ombelico
non è solo il tuo grembo
che bacio.
Io bacio anche le tue domande
e i tuoi desideri
bacio il tuo riflettere
i tuoi dubbi
e il tuo coraggio
il tuo amore per me
e la tua libertà da me
il tuo piede
che è giunto qui
e che di nuovo se ne va
io bacio te
così come sei
e come sarai
domani e oltre
e quando il mio tempo sarà trascorso

mercoledì 7 novembre 2012

- Tango a Parigi -




Credimi oppure no.
Ma io so dove trovare la luce.
Salpa verso di me.
Diventa amico della tempesta
in un bagno di
echi e ricordi.
Senti le onde infrangersi sul tuo costato?
cercano di curare quell'antica ferita
a sinistra
che macera
e ti indebolisce.
Ora dopo ora.
Cerco di estirpare il tuo dolore
con le mie mani d'argento
e succhio il tuo sangue
come veleno di serpente.
Vorrei tanto non essere così sola,
ma sentire l'odore dei tuoi capelli
e piangere di gioia,
tra le rughe del tuo viso.
Leggerti,
come si legge l'età di un albero
dai cerchi concentrici della sua corteccia.
Chissà se seguendo le tue vene
riuscirò a raggiungere il tuo cuore.
Per poi mangiarlo
e sentirti dentro di me.
Una cosa sola.

venerdì 26 ottobre 2012

- My pain is self-chosen -


Io scelgo il mio dolore
perché in questa valle porpora
di papaveri ingannatori
è l'unica cosa vera.
Il mio dolore è il mio compagno, 
lo preferisco 
ai tanti uomini
mecenati e ciceroni,
che non vogliono altro che il mio assenso;
lo preferisco 
alle tante donne
aracnidi e discordi,
che avvelenano le mie azioni.
Il mio dolore 
è la mano che mi scuote
quando mi addormento
tra le vitali illusioni,
è la lama del coltello
che mi incide addosso chi sono,
è l'acqua battesimale
che mi lega a quella divinità
che ha fatto del soffrire
il suo mistero
e il suo perdono.
Io scelgo il mio dolore
perché è l'unico che sa ricordarmi
cosa sia il bene e la speranza:
quell'attimo unico in cui tutto sembra bruciare,

tutto sembra cadere giù,
ma tu sai di non essere solo,
a cantare.

lunedì 22 ottobre 2012

- L'Ultimo Ballo -



Vorrei essere una ninfa per mascherarmi nella terra,
annullarmi in una quercia.
Finalmente sarei un essere unico
un ambivalente gioco di nervi.
Avrei un posto accogliente in cui nascondermi
le volte che sentirei il cuore battere per qualcuno.
Quel ritmo inizialmente rallentato,

che poi esplode,
come una supernova.
Ma che lacera. Ah, se taglia e lacera.

So che la mia quercia mi stringerebbe come una madre,
tra i suoi rami spessi e affusolati.
Mi farebbe sentire il calore dell'autunno,

lì, nel suo ventre dorato,
morendo lei stessa per farmi sopravvivere all'inverno.
Mi donerebbe alla primavera,
come Dio donò l'Eden al primo uomo e alla prima donna,
ma senza colpa, sacrificandosi in piena consapevolezza.

Un martirio che io non saprei santificare,
perché tornerei tra le tue braccia avide,
svalutando il bene datomi  
per un amore di cenere e carbone.

venerdì 19 ottobre 2012

- Mi strappo le vene e te le vengo a regalare -


E' freddo
lo spazio
nella tua assenza
mi dico
che riuscirò 
di nuovo
a poggiare
la testa 
sul tuo petto
ma è un'illusione
che dura ore
la realtà
è una lama 
mi ricorda
che non siamo 
una cosa sola
e io mi 
spezzo
in più parti
in immagini
sfocate
come sei tu
di spalle
e mai sazio.

domenica 14 ottobre 2012

Beauty




‎"I was a Flower of the mountain yes when I put the rose in my hair like the Andalusian girls used or shall I wear a red yes and how he kissed me under the Moorish wall and I thought well as well him as another… then he asked me would I yes to say yes my mountain flower and first I put my arms around him yes and drew him down to me so he could feel my breasts all perfume yes and his heart was going like mad and yes I said yes I will Yes." - Ulysses, J.J.



domenica 7 ottobre 2012

Puu-tii-uiit?

Nella mia camera al motel sfogliai la Bibbia sul comodino in cerca di storie di grandi distruzioni. 
Il sole si era levato sulla Terra quando Lot entrò in Zo-ar, lessi. Poi il Signore, dal cielo, fece cadere su Sodoma e Gomorra una pioggia di zolfo e fuoco; e abbattè quella città, e tutta la pianura, e gli abitanti della città, e ciò che cresceva sulla terra.
Così va la vita.
Era gente spregevole, quella di Sodoma e Gomorra, come tutti sanno. Il mondo stava meglio senza di loro.
E alla moglie di Lot, naturalmente, fu detto di non voltarsi indietro a guardare il luogo dove prima c’era tutta quella gente con le sue case. Lei invece si voltò, e per questo io le voglio bene: perchè fu un gesto profondamente umano.
Così fu trasformata in un pilastro di sale. Così va la vita.
La gente non dovrebbe mai voltarsi indietro. Sicuramente, io non lo farò più.
Ora ho finito il mio libro sulla guerra. Il prossimo che scriverò sarà divertente.
Questo è un disastro, e non poteva essere altrimenti, perchè è stato scritto da un pilastro di sale. Comincia così:
Ascoltate:
Billy Pilgrim ha viaggiato nel tempo.
E finisce così:
Puu-tii-uiit?



venerdì 28 settembre 2012

- Goodnight ladies, good night, good night -


Caro Guy,
sai è impossibile dire quante volte io abbia aspettato il tuo ritorno.
Giacevo sul letto, tra la coltre del dormiveglia,
in un mare di petali e lenzuola nere,
aspettando anche solo l'eco dei tuoi passi.
Mi ripetevo che quella volta alla stazione non sarebbe stata l'ultima.
Dicevo che guardare nei tuoi occhi castani sarebbe stata per me sempre fonte di calore.
Dicevo che avrei sempre bramato le tue mani a cingermi i fianchi, soffocandomi il respiro con i tuoi baci indecisi e facendomi tremare ad ogni parola sussurrata nell'orecchio.
Dicevo che l'autunno non sarebbe stata per noi una stagione, 
perché avremmo sempre camminato sopra le foglie marcite, come sulla via dorata per Oz.
Dicevo che saremmo riusciti a catturare la brezza mattutina
e a bere la rugiada come ambrosia fatale.
Per quante volte io abbia stretto le mani al petto, inginocchiandomi all'invisibile,
non ti ho visto più arrivare.
Le ho fatte sanguinare, quelle mani, come mi sembrava di piangerlo, il sangue.

Non ho mai fatto scorrere lacrime più pesanti e corpose, un nettare delizioso per il demone dell'amarezza e della mancanza.
Le ho raccolte tutte in un piccolo scrigno, volendotele donare una volta che ti avessi rivisto.
Le avrei usate come ricatto, un effetto della tua noncuranza sulla mia anima.

E' come se stessi seduta vicino a un fuoco, ma senza riscaldarmi. 
Le fiamme potrebbero benissimo essere di ghiaccio, tanto da sentire i tendini irrigidirsi per questa forzata immobilità a cui sono costretta.
La tua immagine mi lega al nulla, alla completa inerzia.
Perché quando c'eri tu, tutto sembrava avere un suo giro e un suo moto, contrario a quello del mondo e bellissimo come un astro appena nato.


Caro Guy,
spero che giunga una nuova primavera, 
così il mio corpo riuscirà a donare amore ancora a qualcosa.
All'aria, alla terra, diventando madre anche io, di nuovi esseri viventi.

lunedì 24 settembre 2012

- Ipofisi -


Non so più se camminare per questa strada.
Probabilmente sarebbe meglio strisciare, 
rendere piedi la mia lingua,
abbandonando unghie e denti
in qualche solco del terreno.
Il vento sussurra di seguire l'ovest,
verso l'Oceano e i suoi misteri.
Ma io non so come scappare
da questa terra arida:
le gambe mi tremano e le mani sono consumate,
per l'aver stretto troppo
quando sarebbe stato meglio lasciare andare.
E' come se fossi in una chiesa senza tetto,
scoperta alla paura dell'eterno,
mangiata dai santi e dal cielo.
Vorrei coprirmi il viso con un velo 
per poter nascondere i solchi del dolore;
ma finirei per stringere troppo
fino a non sentire più il mio cuore.

- Non svegliarmi più -


Un altro giorno
mi pungo il dito con un ago
un patto purpureo da suggellare
antico come gli oceani bui,
l'eternità in una fiamma blu
e i tuoi occhi piani instabili.

Un altro giorno
di completo nulla
una parola fatta di lacrime
un gong tibetano che distrugge
e segna la fine
degli echi nella mia gola.

Un altro giorno
sento la tua mano sul mio seno
come un bambino affamato
se chiudi gli occhi puoi vedermi
danzare a piedi nudi
su cocci di vetro e smarrimento. 

mercoledì 19 settembre 2012

- Limnìade -



Hai mai posato le tue iridi orientali
sulla trasparenza dell'acqua?
E' come guardare in uno specchio ancestrale.
Vedi vite finire e iniziare
e, sopra, la tua immagine fantasma
che si mescola con le onde.
Gli antichi marinai dicevano
che il mare non era altro che
un altro cielo;
immergendovi il tuo viso diventavi come un dio greco,
leggero come un gabbiano e 
di stelle coronato.
Ho trasformato il mio corpo in un lago,
in un ninfeo canto,
perché tu ti ci possa avvolgere,
come in un manto.
Ho inciso i miei nei
su una rosa dei venti,
perché tu possa, una volta unitili, 
salpare.
Lì, dove i sogni diventano carne,
senza mai annegare.

martedì 18 settembre 2012

- Il fuoco purifica e l'acqua risana -



Si sa che quando il terreno è marcio
Infinite volte si prova a seminare
E puntualmente, quando il dado è ormai tratto,
Ti senti parte del vuoto interstellare, con l'
Emaciato tuo viso tra le mani, mai così disfatto.

Devi sapere che la gente è strana
E sempre pronta a tirarti in basso,
Lì dove la luce non arriva,
Lì, in quell'anfratto dove striscia
E lecca avida il minerario suolo, come un crotalo viscido e solo.

Troppe maschere che seguono il vento

Esistono per farci stare a stretti pugni.
Se solo si capisse che il nostro vuoto è dentro, lì
Tra il diaframma e lo sterno, dove maturano i fumi dell'
Esanime speranza di riconoscerci negli altri.


Diamo un bacio all'amaro nemico e 
Imprimiamo la nostra ombra nei volti appassiti degli spiriti dimenticati.

Che le correnti ci ridiano la vita
A costo di servire il nostro cuore su un piatto di
Zenzero e sale, riconoscendoci
Zimbelli e giullari, anche se ormai anziani, come
Omero che fu Il Poeta, anche se sempre nascoste furono le sue mani.

ANSIA - Nerorgasmo




Chiuso nella mente non trovi più nulla da fare
Nulla al di fuori di te
Credi di sapere tutto non hai nulla da imparare
Ma giudichi dall'alto sentenzi dal tuo sapere

Ma senti il vuoto nella pancia
La tua esistenza è solo ansia
E non ti basta ingurgitare
Per darti un senso di pienezza
E non ti basta più drogarti
E non ti basta più scopare

Tutti ti gridano che per essere bello
Devi essere maturo devi essere duro
Devi difendere le tue posizioni
Anche se sai che son false lo sai sono false

Ma senti il vuoto nella pancia
La tua esistenza è solo ansia
E non ti bastano i riscontri
Per credere di essere vero
Hai schifo di te stesso sempre
Lo sai che cosa sei davvero

Se non decidi di morire ogni giorno
Per rinascere nuovo per rinascere nuovo
Se non capisci che ogni cosa ti insegna
A rinascere nuovo a rinascere nuovo

Ti senti il vuoto nella pancia
La tua esistenza è solo ansia
E non ti basta ciò che compri
Lo sai che dentro manchi tu
Hai schifo di te stesso sempre
Vorresti non vederti più

domenica 9 settembre 2012

- SETTEMBRE -


C'era un tempo in cui mi sembrava tutto diverso. Non c'era giorno in cui non andassi al lago, al tramonto. 
La bellezza di quel paesaggio, come uno scorcio di eden, malinconico e confortante al contempo.
Quando poi arrivava il crepuscolo era come un mantello, soffice e caldo, e subito si accendevano le gemme del cielo, mentre lontano potevo ancora vedere il rosso porpora del sole.
Mi ricordo di un giorno in particolare. Con mio fratello passeggiavamo, silenziosi, al porto delle barche. 
Era un pomeriggio d'inverno, e il vento ci tagliava le gote come una lama.
I gabbiani volavano a cerchi. Ci fermammo sulle rocce in fondo, ad osservare l'isola di lontano.
Le onde ci accompagnavano nella visione, con il loro dolce infrangersi sui fondi delle barche. 
Mio fratello era bello come un dio, con quei suoi riccioli biondi e gli occhi celesti come l'acqua. 
Un naso prepotentemente all'insù anticipava una bocca carnosa contorniata da un accenno di barba rossiccia.
Aveva le mani rosse dal freddo e anche sfregandosele continuamente non riusciva a scaldarsi.
Gli detti un pizzicotto sulla guancia, dicendogli di non fare la femmina, ridendo come una bambina.
Lui rise e poi mi guardò.
Fisso. In quei suoi occhi potevi perderti, come in un immenso oceano.
Fui un attimo interdetta da quello sguardo allo stesso tempo pieno d'amore e di un'infinita tristezza.
" Stefano, che succede ? "
" Niente. Penso che me ne andrò presto. "
" Dove vuoi andare ? "
" Non lo so ancora. Però tu pensami sempre con te. "  
Mi dette un bacio. Mi strinse forte a sè. 
Sentii il suo profumo: sandalo; forte e avvolgente come lo era lui. Un spirito sempre irrequieto. 
Il sole scese all'orizzonte e noi ce ne tornammo a casa, dalla mamma e il babbo.

Una mattina di circa un mese dopo, mi svegliai presto, come mi era solito per andare al lavoro.
Come ogni giorno andai alla camera di Stefano per svegliarlo. Certe volte era proprio un pelandrone.
Il letto era ancora fatto e il suo cappotto non c'era.
Andai in cucina da mamma, dicendole che Stefano non era tornato per la notte.
" Avrà fatto serata con Orlando e gli altri, probabilmente. Tornerà per pranzo con una fame da lupo e il babbo gli farà la solita ramanzina. " 
Andai al lavoro. Tornai per le 1.
Facemmo il pranzo. Stefano non si era ancora fatto vedere.
" Io a quello screanzato gliela fò vede io quando torna! "
" Babbo dai, stai calmo. Presto chiamerà e si scuserà. "

Si fecero le 5.
La mamma chiamò a casa di tutti gli amici di Stefano, ma nessuno l'aveva visto da almeno due giorni.
Iniziammo a preoccuparci seriamente. Il babbo chiamò i carabinieri. 
Alla mamma già stava mancando il respiro. La sentivo stringersi le mani al petto e sussurrare preghiere alla Madonna. L'abbracciavo dicendole che sarebbe andato tutto bene, mentre guardavo in alto, verso la foto di nonna Artemisia, sperando ci proteggesse. 
In quel momento mi tornavano in mente gli occhi di mio fratello in quel pomeriggio strano. 
Sembravano un mare in burrasca, potevi vederci l'universo in tumulto, eppure vi era racchiusa tutta la dolcezza di questo mondo.

Due ore dopo suonarono alla porta. 
Era un carabiniere. Il suo nome era Michele. Era alto e grosso, avrebbe dato sicurezza a qualsiasi donna. Pensai che si sarebbe sposato presto, seppur così giovane. 
Ci disse che dopo un'incessante ricerca, avevano trovato mio fratello. 
Mia madre si sentii mancare e io dovetti sorreggerla con tutte le mie forze, mentre le lacrime mi rigavano il viso. 
Il babbo si mise le mani tra i capelli e si nascose in bagno, per non farsi veder piangere.
Andai con il carabiniere per il riconoscimento.
Arrivai al molo. Vedevo già da lontano il lenzuolo bianco steso sulla sabbia, bagnato dalle onde.
Per un attimo pensai di non farcela. I miei piedi pesavano come macigni e sentivo il mio cuore spezzarsi come un cristallo, rilasciando un pungolo di dolore che mi arrivava fino all'intestino.
Stefano era steso a pancia sotto, con braccia e gambe aperte.
Si era riempito le tasche del cappotto di sassi e si era lasciato morire così, tra le onde del nostro lago.
Nella tasca dei pantaloni gli avevano trovato il mio vangelo.
Lo avevo rimproverato tante volte del fatto che me lo prendesse senza dirmelo.
La copertina ritraeva un sole al tramonto, circondato da un cielo cupo.
Mi ricordo di come la sua mano giacesse lì, inerme e bluastra.
La sua bocca carnosa era semiaperta, quasi cercasse ancora di assaggiare l'ultimo filo d'aria.
I suoi occhi blu, così vivi pochi giorni prima, ora erano vuoti e fissi.
Ma il loro blu era ancora così intenso che sembrava mi guardasse ancora.

Lo seppellimmo vicino nonna Artemisia. La nonna che lo aveva fatto nascere e lo aveva cresciuto, mentre mamma andava al lavoro e io andavo a scuola.
Il babbo non parlò più per un mese. Si racchiuse nel suo silenzio perché non sapeva elaborare il dolore.
La mamma era sempre in chiesa, cercando un conforto in quelle mura fredde e inanimate.

Sono tornata al cimitero oggi, come faccio ogni domenica di ogni settimana.
Trovo sempre una rosa, sulla tomba di Stefano.
L'unica cosa viva in quel posto addormentato.
Ma non ho mai saputo chi la portasse. 

martedì 28 agosto 2012

venerdì 20 luglio 2012

- Anniversario -


Mi ricordo ancora
quando camminavo sola
tra le strade polverose
dell'incomprensione adolescenziale.
Sentivo pulsare nel mio palmo vuoto
una giovane radice che pungeva,
ma non sbocciava mai.
Un giorno, strofinandomi le mani
cercando di stringere l'inesistente,
sentii una capocchia di spillo
iniziare ad uscire dal mio polso.
Come una bussola indicava
la direzione dell'Oceano, 
e luccicava ogni volta io sentissi parlare della Nuova Amsterdam.
Un filo rosso iniziò a tendersi
tra due palmi diversi,
divisi da due mondi estranei,
ma le cui ombre son fatte
della stessa sostanza.
Ora, dopo un anno, intravedo l'inizio
di un ricamo complicato,
che si va formando in questo strano telaio.
Un ricamo fatto di sofferenze comuni,
pizzicotti veloci con ciniche risate, 
chiacchierate isteriche per ore fuori dal bar,
sotto le medesime stelle,
a volte viste da prospettive diverse, 
ma che in fondo ci uniscono
al medesimo universo.

giovedì 28 giugno 2012

Quando una poesia ti fa impressione per la mancata appartenenza.





Di te, da tanto tempo, io non ho più notizie.
Ma che dolci ricordi son quelli in cui ti vedo,
o mio lontano amore, o mia divina Lou,
accetta che il devoto la tua bellezza adori!

E' proprio questo d'oggi il giorno d'ispezione,
poco dopo, mia Lou, ce ne saremo andati.
E' questione di giorni. Non ti vedrò mai più,
non torneranno più quei bei giorni passati...

Come posso saperlo se tu mi ami ancora?
Le tronbe della sera gemono lentamente.
Davanti alla tua foto, o cara Lou, t'adoro
e tu sembri sorridere al tuo lontano amante.

Non so nulla di te! Se sei morta o sei viva.
Cosa sei diventata? E sono ancora vere
le promesse d'amore che hai fatto al cannoniere?
Come vorrei morire su quell'ignota riva!

Come vorrei morire nel fulgore d'oriente,
quando a Costantinopoli entrerò da crociato.
Il tuo ritratto in mano morire sorridendo
davanti al dolce mare verde azzurro smaltato!...

O Lou, mia immensa pena, Lou mio cuore spezzato,
come il suono di un corno la tua voce risuona,
io rivedo lontano, stupefatto e lontano,
quel tuo tenero sguardo col quale m'hai stregato.


lunedì 25 giugno 2012

- Cesare, Dio senza Trono -



Troppe parole sono inutili.
Cerchiamo una sintesi poetica,
che consumi l'anima
e ci butti a terra,
in ginocchio,
squarciando la carne.

sabato 23 giugno 2012

- Mariposa -






Adoro la tua voce, spartana e rabbiosa
quando da sola svetta tra le cime dei suoni terrestri.
Le mie gote diventano rose dell'aurora, se con le
tue mani ogni mia minima paura arresti.

Dita nodose come i rami delle antiche querce
mi danno riparo dalla pioggia celeste, mentre
sollazzano il mio cuore le tue argentee parole e
vivacemente lo privano della sua corazza di ghiaccio.

La mia anima ormai senza te non può stare, come una
farfalla che ha trovato il suo fiore e più non lo può lasciare.

Ora prova a leggere in fila
le parole che iniziano ogni verso.
C'è una sorpresa.

giovedì 21 giugno 2012

- Kala -


Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.
L'orologio della vita scorre minuti, giorni, anni.
Una frenesia senza fine, non ci fa capire quante siano le piccole gioie che ogni giorno ci si presentano.
Tic-tac. Tic-Tac. Tic-tac.
Era da tanto che non tornavo in Piazza San Marco.
Avevo dimenticato la bellezza dei suoi spazi, la perfezione della sua architettura, e la sicurezza donatami dalle sue mura senza tempo.
Mi ricordo quando il babbo mi ci portò, un giorno.
Era il mio compleanno. Era un giorno d'aprile.
Sentivo l'aria fresca che mi faceva venir la pelle d'oca, ma subito riscaldata dal sole splendente. 
Avevo un vestitino color acquamarina, un nastrino nero tra i capelli e delle scarpine lucidissime, fatte dal
mio povero nonno.
Il babbo mi fa: Kala, guarda. Guarda quanti piccioni. Perché non dai loro da mangiare? 
Dai, che poi ti porto sulla gondola e arriveremo fino il mare!
Mi ricordo ancora quanto bello fosse il babbo, giovane, con la sua barba rosso fuoco e le sue mani grandi ma gentili.
Ero un po' titubante nell'avvicinarmi a quella mandria di esseri svolazzanti, circondata da piume e occhietti vispi.
Ma il babbo mi mise in mano un pugno di grano, mi prese all'orchetta, e ridendo come un bimbo, mi portò lì in mezzo e ci mettemmo a girare per tutta la piazza.
Ridevo. Ossì, quanto ridevo. E urlavo!
Dicevo: babbo, babbo! Più veloce! i piccioni se ne vanno via!
Sembrava che il tempo si fosse fermato, che quel momento di gioco e amore sarebbe durato per sempre.
Il babbo ci lasciò qualche mese dopo. Una mina non segnalata ce lo strappò dal cuore.
La mamma non resse al dolore. Mi disse:
Piccola Kala, il babbo è solo. Necessita delle mie cure. 
La vidi prendere quel nefasto treno. E poi il nulla.
Ora che son madre anche io, del piccolo Manfredi, non potevo non portarlo a piazza San Marco.
Volevo che fosse felice come lo fui io quel giorno di tanti anni fa.
Anche lui, è un po' in disparte, spaventato dallo stormo di affamati esserini.
Io son tornata ad essere quella bimba dal vestito acquamarina, a stringere in pugno il grano dorato, stretta alle braccia del babbo.
Manfredi mi corre tra le braccia: Mamma, mamma! Voglio imparare a suonare la fisarmonica! 
Piccolo mio, tu potrai far tutto. E io ti sarò sempre accanto. Come le mura di questa piazza, sarò per te una fortezza.
Porta sempre con te i più piccoli ricordi, perché senza di essi, saremmo vuoti e non sapremmo quanto amore possiamo in realtà dare.



- San Clemente di Raymond Depardon -

Siamo un buco nero.
Probabilmente tutti adatti al manicomio.

E tutti con il bisogno di nascondere il nostro viso sotto la sabbia, dietro una giacca, tra i palmi delle nostre mani.

mercoledì 20 giugno 2012

- Memento pt. 1 & 2 -


1. Ti avrei donato il mondo
se solo me l'avessi permesso.
Ed ogni tuo bisogno
avrei soddisfatto,
con le mie braccia aperte 
ad accogliere ogni croce.
Ma solo la tua ombra
tu mi hai concesso;
l'affinità incompiuta
di un vuoto comune,
che io mi son illusa
di far combaciare
con te.

2. Dannata sia la mia timidezza,
morigerata fino al midollo,
che mi impedisce di compiere
un singolo passo
verso quel porto sicuro che è
il tuo abbraccio.
Un abbraccio che però sa di sale,
come l'acqua marina che,
evaporata,
su di me non lascia che il suo scheletro.
E fa male.

- Leo -


Io mi chiamo Leo.
Perché sono come un leone: vivace, irrequieto, istintivo, coraggioso. I miei compagni mi ammirano.
Sulla nave dove ogni giorno faccio partire i siluri, sudando come nella savana tra i vapori della sala macchine, mi rispettano, perchè non lascio mai il mio posto. Combatto fino all'ultimo. Guardo in faccia la morte. E ne rido.
Perchè so che il valore è la mia spina dorsale, e l'orgoglio il mio midollo.
Oggi sono qui, seduto su un divano di pelle.
Non sono abituato all'aria chiusa di una stanza e al suo silenzio.
Ormai mi è familiare l'odor del sale che le onde sprigionano e il verso dei gabbiani che danzano nel cielo.
Ormai mi è familiare far luccicare i miei verdi occhi alla luce del sole allo zenith e guardare l'orizzonte vuoto e infinito.
Ormai mi è familiare sapere che forse domani potrei non esserci più.
Ma oggi torno a casa. Sono spaesato. Ho ricevuto una lettera giorni fa. Un amore che pensavo di non avere più.
Un amore che pensavo mi avesse dimenticato e avesse smesso di aspettarmi. Pensavo di non aver più nulla che mi legasse alla terra. Che fossi ormai destinato a guardare nel profondo dell'oceano senza scorgervi un volto, tra i suoi riflessi.
Ho finito il mio bicchiere di whisky per la seconda volta. Ma ancora i miei nervi non si sono sciolti. Ancora sento i nodi girarsi e stringersi. Peggio delle corde che intrecciavo ogni giorno, trecce complicate che la mia anima tesseva, perché cercava qualcosa di sicuro e saldo, che non si potesse spezzare. E incrocio le braccia a tal ricordo.
Vorrei poter dire al mio amore lontano che in realtà ho bramato dal primo giorno di tornare nel suo abbraccio, poggiare il viso sulle sue spalle e sentire calde lacrime scorrere giù, inebriato dal profumo dei suoi capelli, intenso come quello di un campo di lavanda.
Però so che quando stringerò a me il suo corpo, morbido e avvolgente, tra le lacrime che verserò ce ne sarà una anche per i gabbiani, le onde, il sole e per quando guardavo in alto il cielo nella sua ignota infinità, con una stretta al cuore tra il terrore e il sublime, sapendo che potesse essere per l'ultima volta.

- Requiem -


Proviamo a testare
la maturazione dello sciocco.
Proviamo ad accantonare
rancori e sorrisi.
Con un sorso
beviamo
la memoria dell'inverno
e sterilizziamo la terra
con piscio dorato.
Ma desolazione
sa anche rigenerarsi.
E fiorire di nuovo
tra complici sguardi,
carezze fugaci
che non lasciano impronta,
ma solo un alone
dell'abbraccio regalato. 

- Grave -


Aspergi
il martoriato
mio corpo
col benedetto
sangue
del tuo
cuore.

Incorona
il ramingo
mio capo
con l'alloro
dorato
delle tue mani
affusolate.

Guardare nei tuoi occhi
è come ammirare un infinito tramonto.
Muori piano piano, 
nel modo più sublime che esista.
Esplode infine il nero della notte,
impreziosito di argentate stelle, 
che risplendono,
come la filigrana tra i tuoi capelli.