lunedì 25 febbraio 2013

- New Candles -


Sono sempre stata una ragazzina cagionevole.
Non potevo mettere un piede fuori casa senza buscare un raffreddore.
Una volta, dopo aver preso la varicella, mia madre mi costrinse a tagliarmi i capelli.
Avevo lunghi capelli castani, dai riflessi rossi.

Mia madre me li recise poco sotto la nuca, lasciandomi scoperto il collo.
" Devi imparare a convivere con le tue cicatrici ", mi disse.
Ma io non capivo e mi misi solo a piangere come una fontana per il tesoro perso.
Contavo già le prese in giro sulle dita delle mani e dei piedi.
Un po' come quando tornai a scuola dopo quasi un mese di assenza per una polmonite.
Smagrita e pallida, mi aggiravo per i corridoi della mia scuola elementare.
Mia madre mi aveva messo un vestitino giallo e un cappellino di paglia.
Mi sentivo a metà tra un fantasma e un pagliaccio, un ossimoro che camminava.

Fissavo le fessure delle mattonelle per non incrociare gli sguardi di scherno degli altri.
Delle volte i bambini sanno essere davvero cattivi, ti fanno sentire come uno scherzo della natura destinato a rimanere sempre così, l'eterno scansato.

L'unico pensiero che mi rasserenava in quella brutta giornata era che avrei rivisto mio nonno dopo un sacco di tempo.
Mi venne a prendere con la sua Uno bianca un po' spompata.
Mio nonno guidava come un corridore, però con coscienza.
Era un po' matto mio nonno, ma lo adoravo per questo.
Sapete, pur avendo assaggiato la fame più amara e i momenti più difficili aveva insita in sè una sorta di regalità innata, che lo racchiudeva in una sfera di dignità che pochi possiedono.
Ecco. Mio nonno era come un principe vestito da pescatore. 

Ed era la persona che riusciva a darmi conforto anche nei momenti peggiori della mia natura di bambina spaventata.
Mi ricordo ancora di quando mi portava in riva il lago sulla sua bicicletta rosa e celeste.
Quei pomeriggi d'autunno in cui già mettevo il cappottino cucitomi dalla nonna, con il vento però ancora non troppo tagliente e le foglie di quei colori così caldi che i raggi del tramonto sembravano trasformare in piccole fiamme volanti.
Tutti in paese ci riconoscevano, in quei lunghi giri pomeridiani: ci sentivano arrivare già a un chilometro di distanza.
Sentivano arrivare la mia voce, in realtà.
Sì perché, non appena il nonno mi metteva sul seggiolino sul manubrio e iniziava a pedalare, io iniziavo a cantare. E cantavo e cantavo, per una, due ore, mentre il nonno rideva e faceva finta di essere il mio cavaliere e io la sua principessa.
Non c'era paura, in quei momenti.
Le cose correvano veloci sotto i miei occhi, una scia indistinta di colori e forme.
I visi della gente erano maschere confuse che scomparivano nel vento e io vedevo solo il sentiero acciottolato e sentivo solo il profumo della brillantina del nonno e la sua voce radiosa, che, sapevo, non mi avrebbe mai lasciato.
In uno di quei pomeriggi d'autunno andammo a passeggiare ai giardini.
C'era poca gente, perché il freddo iniziava a pungere fino le ossa.
Una nebbiolina leggera copriva il sole e rendeva il tutto ancora più ermo e onirico.
Trovai comunque dei bambini che giocavano e il nonno lasciò che mi unissi a loro.
Il gioco era il tiro alla corda, ma uno di loro tirò troppo ed io, che ero la prima dell'altra fila, mi ferii entrambi i palmi.
Era come avere il fuoco tra le mani. 

Mi guardai e notai le goccioline di sangue scendere dalle linee della vita fino i polsi.
Non era grave, ma sapete, una bambina di 8 anni si spaventa facilmente.
Corsi dal nonno, paonazza dal pianto. Lui mi caricò tra le sue braccia e mi portò a casa.
" Ora ti farò un impacco magico, tesoro del mio cuore, e vedrai che domani starai già meglio ".
Mi raccontò di quando era marinaio, di quando, con i compagni di nave, dovevano intrecciare, annodare, tirare corde su corde, e capitava molte volte di ferirsi; ma con la "crema di mare" tornava tutto a posto.
Mi spalmò sulle mani il preparato e poi mi fasciò con cura, cantando una vecchia canzone che aveva imparato in Grecia.
Mi dette un bacio e mi fece dire una preghiera, affinché la guarigione fosse più repentina.
Sembravo una piccola martire nel lungo cammino della sofferenza, ma guarii, eccome.

Sapete ogni tanto, soprappensiero, torno a questi momenti. 

Accade per caso, neanche ci faccio caso.
Ma all'improvviso mi ritrovo in una corrente di ricordi e riesco ancora a sentire il peso della sua mano sulle spalle le volte in cui mi sentivo triste e senza una via di uscita.
E mi sembra ancora di avvertire il suo passo nell'androne delle scale e il suo burbero borbottio.
E penso che pure adesso che non sono più quella bambina dalle mani fasciate, avrei bisogno del suo abbraccio.  

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