mercoledì 20 giugno 2012

- Leo -


Io mi chiamo Leo.
Perché sono come un leone: vivace, irrequieto, istintivo, coraggioso. I miei compagni mi ammirano.
Sulla nave dove ogni giorno faccio partire i siluri, sudando come nella savana tra i vapori della sala macchine, mi rispettano, perchè non lascio mai il mio posto. Combatto fino all'ultimo. Guardo in faccia la morte. E ne rido.
Perchè so che il valore è la mia spina dorsale, e l'orgoglio il mio midollo.
Oggi sono qui, seduto su un divano di pelle.
Non sono abituato all'aria chiusa di una stanza e al suo silenzio.
Ormai mi è familiare l'odor del sale che le onde sprigionano e il verso dei gabbiani che danzano nel cielo.
Ormai mi è familiare far luccicare i miei verdi occhi alla luce del sole allo zenith e guardare l'orizzonte vuoto e infinito.
Ormai mi è familiare sapere che forse domani potrei non esserci più.
Ma oggi torno a casa. Sono spaesato. Ho ricevuto una lettera giorni fa. Un amore che pensavo di non avere più.
Un amore che pensavo mi avesse dimenticato e avesse smesso di aspettarmi. Pensavo di non aver più nulla che mi legasse alla terra. Che fossi ormai destinato a guardare nel profondo dell'oceano senza scorgervi un volto, tra i suoi riflessi.
Ho finito il mio bicchiere di whisky per la seconda volta. Ma ancora i miei nervi non si sono sciolti. Ancora sento i nodi girarsi e stringersi. Peggio delle corde che intrecciavo ogni giorno, trecce complicate che la mia anima tesseva, perché cercava qualcosa di sicuro e saldo, che non si potesse spezzare. E incrocio le braccia a tal ricordo.
Vorrei poter dire al mio amore lontano che in realtà ho bramato dal primo giorno di tornare nel suo abbraccio, poggiare il viso sulle sue spalle e sentire calde lacrime scorrere giù, inebriato dal profumo dei suoi capelli, intenso come quello di un campo di lavanda.
Però so che quando stringerò a me il suo corpo, morbido e avvolgente, tra le lacrime che verserò ce ne sarà una anche per i gabbiani, le onde, il sole e per quando guardavo in alto il cielo nella sua ignota infinità, con una stretta al cuore tra il terrore e il sublime, sapendo che potesse essere per l'ultima volta.

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